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Odora di scarpe sfondate e terra battuta. Di sudore e concentrazione. Di pietre che si legano, di calcina che tira. Di fili tesi e panni stesi ad asciugare. Di una valigia da disfare. Di canfora, e muffa alle pareti. Vibra di suoni animali. Di ante cigolanti, di chiavi nelle serrature. Del silenzio di chi è assente e della laboriosità, quotidiana, di chi è ancora qui. O di chi ci sta tornando.

A casa. 

È permesso? 

 

La casa viene costruita, e viene agita. Ha un suo passato, un suo presente, un suo futuro. Edifica la propria storia.

Armadi, scrivanie, specchi e mobili vari impongono la loro presenza, ricevono i disegni, ne condizionano le dimensioni (e il senso). Contribuiscono a creare quella sintesi, praticabile, di spazio abitativo/abitato e spazio simbolico. 

 

Ritorna odore di terra, di olio che unge i chiavistelli, di coperte di lana. Vibrano passi sui tappeti, il fuoco che crepita, le matite che incidono la carta. Tutto oscilla tra un sentimento nostalgico e propositivo, tra uno stare ed un andare, tra ieri e domani. Lo sguardo si volge al passato, così come si disseta del futuro. 

Vibrano passi sui tappeti, dicevamo. C'è chi parte, e chi torna. A casa. Il titolo mantiene una sua voluta ambiguità. Ci lascia il dubbio rispetto al senso di quel “a” casa, se – appunto – si tratti di un andare verso (un moto a luogo), o di un esserci (uno stato in luogo). Ma, tutto sommato, è un dubbio irrilevante, anzi è proprio la chiave di volta di questa narrazione/mostra. Perché “casa” è (considerazione di cui sopra) un concetto. “Casa” è ciò che deve ancora diventare presente, e che – in altri posti e in altri tempi – diventerà, un giorno, passato.

 

E dunque accomodatevi, prego.

 

Matilde Martinetti 

 

The smell of old shoes and packed earth. Sweat and concentration. Stones bound, lime mortar gripping. Ropes strung, laundry hung out to dry. A suitcase, still packed after the trip. Camphor, mildew on the walls. Vibrant with animal sounds. Creaking doors, keys in locks. The silence of those who are absent, the industrious everyday activity of those still here. Or those about to return.

Home. 

May I? 

 

The house is built, and put into operation. It has a past, a present, a future. It erects its own story.

Wardrobes, desks, mirrors and other furnishings assert their presence, receive the drawings, influencing their measurements (and meaning). They contribute to create that usable synthesis of living/lived space and symbolic space.

 

The smell of earth returns, along with that of the oil that lubricates the latches, or that of woolen blankets. Steps tread on rugs, the fire crackles, pencils etch on paper. Everything wavers between nostalgia and proposal, between staying and going, yesterday and tomorrow. The gaze turns to the past, as it sates its thirst for the future. 

Steps on carpets, we were saying. Some depart, others return. Home. The title conserves an intentional ambiguity. We are left in doubt regarding the meaning of that “a” (at or to) home, as to whether it means going towards (a movement to a place) or being in (staying at a place). But in the end the solution is not important; the doubt is precisely the keystone of the narration/exhibition. Because “home” is (as we have seen) a concept. “Home” is that which has yet to become present, and that which – in other places and times – will become, one day, the past.

 

So please, do make yourselves comfortable.

 

Matilde Martinetti

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A casa, 2013, disegni ed installazioni, a cura di Matilde Martinetti, Colombo Arte Contemporanea, Milano. 

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