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Leggieri è l’esperienza sviluppata per A più voci, il programma che Palazzo Strozzi dedica alle persone che vivono con l’Alzheimer.

 

Leggieri, come certe figure effimere di terra fatte da “[...] pezzi di legno e piane [assi] confitti insieme, e fasciati poi di fieno e stoppa, e con funi legato ogni cosa strettamente insieme, e sopra messo terra e mescolata con cimatura di panni di lino, pasta e colla [...] riescono nondimeno leggieri e, coperte di bianco, simili al marmo.”

(Giorgio Vasari, dalla Vita di Jacopo della Quercia)


È una di queste “leggiere figure”, il Dio fluviale di Michelangelo, che apre

la mostra Il Cinquecento a Firenze a Palazzo Strozzi.
Non sappiamo a quale fiume lo scultore lo abbia dedicato: alcuni dicono a uno dell’Inferno, altri del Paradiso e altri ancora a uno tra i più importanti fiumi d’Italia, forse l’Arno. Sappiamo però che il suo scheletro è costruito con fili di ferro intrecciati tra loro e rafforzati da una fasciatura di paglia e spago; la sua pelle è fatta da più strati di argilla, in parte magra, ricavata dall'Arno presso San Niccolò e in parte grassa, proveniente da Montespertoli; mescolate all'argilla ci sono fibre vegetali, cimatura e peli di animali. L’incarnato così chiaro è ottenuto grazie al bianco di piombo.


Quasi tutti i materiali usati sono transitori, perché la scultura era destinata a scomparire: era il modello che avrebbe permesso a Michelangelo di realizzare un altro Dio fluviale, quello eterno, fatto di marmo, destinato alle tombe medicee nella Sagrestia Nuova della Basilica di San Lorenzo.
Questa seconda opera però non fu mai scolpita e a noi è giunta la sua fragile prova che inevitabilmente iniziò a cedere già pochi anni dopo la sua realizzazione. Alcune parti, infatti, sono andate perdute e sono stati necessari restauri e consolidamenti importanti, come l’inserimento delle barre di ferro che lo bloccano nell’attuale posizione. Il Dio, che inizialmente era quasi seduto con la gamba destra poggiata a terra, ci è giunto sdraiato e sembra compiere uno sforzo enorme a stare così.


In virtù della sua fragilità ci appare oggi come un’opera estremamente preziosa, “un capolavoro di fragilità”, che ha resistito nei secoli grazie alla cura di restauratori e innamorati.

Preziosità, fragilità e cura sono i concetti attorno ai quali è ruotata la costruzione di Leggieri.
Preziose e fragili ci appaiono le persone anziane, ancor più quando affrontano la sfida dell’Alzheimer.

La fragilità però appartiene a tutti e noi abbiamo provato a sentirla come una possibilità, una condizione non da nascondere ma da proteggere con cura tanto da farla emergere in tutta la sua preziosità.


Seduti in cerchio, dopo il saluto e il benvenuto abbiamo indossato con curiosità e titubanza le cuffie, quelle destinate alle visite guidate. Siamo entrati in mostra, dove ci ha accolto il Dio fluviale. A coppie l’abbiamo osservato e, quando l’attenzione ha iniziato a esaurirsi, ci siamo seduti a semicerchio attorno a lui. È allora che, messe le cuffie, il Dio ha “parlato” attraverso la voce calda di Paolo Santangelo e le parole immaginate da Cristina. La scultura, la voce e le parole ci hanno portato a un ascolto così presente e intenso che, una volta finito, siamo rimasti fermi, attenti a sentire il nostro silenzio.


Ancora in silenzio siamo tornati nella stanza del laboratorio, dove,ad attenderci, abbiamo trovato una nuova scena: tutte le sedie spostate da un lato e, dal lato opposto, un piedistallo vuoto. Ogni partecipante è stato invitato a staccare un pezzo di argilla da un panetto: «Prendine quanta ne vuoi, tienila in mano, toccala, saranno le tue mani a darle una forma, o semplicemente a imprimerle una traccia. Non preoccuparti che diventi “bella”. Quando vuoi, va’ al piedistallo e posala. La tua parte, assieme a quelle degli altri, andrà a costruire una nuova opera collettiva, il nostro “capolavoro di fragilità”.»
Si è così cercato di dare importanza al momento, al gesto e all’interazione piuttosto che alla pretesa di realizzare un’opera d’arte. Alla fine di queste processioni, a volte solitarie, a volte a due e altre ancora di gruppo, con andate e ritorni ripetuti, come chi si prende davvero cura di quel che sta facendo, la nuova scultura è nata.


Queste giovani e fragili figure sono state trattate come il capolavoro di un grande maestro: le abbiamo osservate e ne abbiamo parlato. I testi che ne sono nati accompagnano sotto forma di commento audio le sculture; a prestargli la voce è di nuovo Paolo Santangelo.

Il primo esperimento, la prima volta, il fallimento

Il primo incontro di Leggieri, è stato fallimentare.

Si è scelto di renderlo noto affinché possa essere stimolo e contributo per la ricerca nostra e altrui.


Il Dio fluviale di Michelangelo ha innescato da subito una riflessione sulla fragilità, sulla forza e un’analogia con i corpi degli anziani che sono spesso toccati, accarezzati, sostenuti, spostati, accompagnati dalle mani di chi se ne prende cura. Mani che, come per il Dio fluviale, possono guidare, sostenere, curare e anche arrecare danni. Questa idea ci è sembrata così potente da diventare il nucleo dell’intera attività.
Nonostante i presupposti e lo sviluppo ci sembrassero coerenti, il primo
appuntamento è stato fallimentare.

Anna e Chiara, Franca e Paola, Gina e Manuela, Marcella e Luigi, Enza e Monica, Vittorio e Carla,Cristina e Florentina, Ania e Alberto, Irene e Michela

Dopo l’accoglienza e l’introduzione iniziale, non abbiamo comunicato in modo chiaro i passaggi successivi e non si è creata la giusta atmosfera di fronte all’opera.
Tornati in laboratorio, abbiamo chiesto ai carer di disporsi in un cerchio, ciascuno in piedi dietro alla persona anziana seduta, alla quale è stato dato un pezzo di argilla. Al centro, un piedistallo vuoto. Cristina ha domandato di eseguire alcune azioni con le mani: gli accompagnatori le dovevano compiere sui corpi degli anziani, le persone anziane sul pezzo di argilla. Tutti i pezzetti sono stati quindi osservati, ne abbiamo parlato e abbiamo proposto infine a ogni partecipante di portare con sé il proprio. Per renderlo prezioso, l’abbiamo confezionato in una scatola e accompagnato con una didascalia. Non tutti l’hanno voluto.


Analizzando a posteriori l’incontro ci siamo resi conto che le indicazioni in successione sono state tante e scandite troppo velocemente, difficili da comprendere se contemporaneamente si devono processare altri stimoli. Non si sono create le condizioni e le dinamiche per una partecipazione attiva, perché probabilmente il rimando all’esperienza personale è stato troppo astratto e per questo poco emozionante.
Infine, perché la sensazione di toccare si traduca in un’emozione ci vuole
coinvolgimento e forse più tempo, e noi ci siamo concentrati sui gesti senza dare la giusta attenzione a quello che guida le mani.


È stato questo “fallimento” a portarci a ripensare il progetto, a riflettere più a fondo, per svilupparlo poi in modo più rituale, ascoltando e facendoci trasportare dal flusso delle reazioni dei partecipanti. Nei nuovi incontri abbiamo proposto di  “provare insieme”, come se fosse un esperimento.
Così, come in una partitura a più mani, è nato Leggieri.

Leggieri, i capolavori di fragilità

Michelangelo, Dio Fluviale, 1524-27 circa, argilla cruda, sabbia di fiume, peli animali, fibre vegetali, su anima di filo di ferro, 65x40x70 cm, Casa Buonarroti, Firenze

Dio fluviale. (Paolo Santangelo, voce) -
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Mi piace essere guardato con amore.

Così come fate voi adesso.

Affascinante, anche senza testa.

Sono molto delicato però ed è per questo che possono toccarmi in pochi..

Chi mi ha fatto pensava di distruggermi subito dopo

e invece io ho quasi 500 anni.

Ho resistito perché qualcuno si è preso cura di me.

È così che sono diventato prezioso:

un capolavoro di fragilità.

In tutti questi anni, sono molte le mani che mi hanno toccato,

stretto, girato, spinto, trafitto, accarezzato, lavato e persino tinto.

Ho perso le gambe, per ben tre volte, ma sono ancora qui.

Leggero.

Volevano che vegliassi su un morto.

Non è mai successo e io non me ne lamento.

Mi hanno spostato più volte, ma mai per portarmi dove io vorrei.

Spero che lo facciano, prima o poi.

Adriana, Alessandra, Annamaria, Azzurra, Cristina, Emanuela, Irene, Liliana, Lorenza, Luca, Maria, Michela, Remo, Roberto, Roberto, Rosella, Serena, Serena, Vittoria, Capolavoro di fragilità collettive, 2017, argilla cruda di provenienza incerta,

50x50x10 cm circa, in attesa di collocazione

capolavoro fragile 1 - AA. VV, Paolo Santangelo, voce
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Una parola è un po’ poca.

Deve essere… È troppo difficile.

E allora si fischia! [Fischio ripetuto due volte] 

Una parola non basta, è piccola.

Forse una frase si potrebbe trovarla…  

 

Non so da che parte rifarmi… io non saprei definirla.

Brutto non è.

È un insieme… Eh… Non saprei.

Cose fatte con tanta volontà.

Un insieme di cose diverse che si compensano l’un l’altre.

Armonia e gioia.

Un parco particolare, un giardino divertente…

Un posto in campagna e molto bello!

Uno scoglio in mezzo al mare…

Un brivido, un soffio.

Una sculturina piccola ma che messa nell’insieme

può venire qualcosa di discreto.

Pezzi di un momento.

Ferite aperte o semiaperte.

A me non mi piace per niente…

Un insieme di figure che ci riportano all’antico.

C’è una foglia in terra!

E ora?

Adriana, Alessandra, Angela, Barbara, Chiara, Clara, Claudia, Cristina, Denise, Elena, Federico, Giusi, Irene, Luca, Livio, Matteo, Michela, Piera, Vittorio,

Capolavoro di fragilità collettive, 2018, argilla cruda di provenienza incerta,

50x50x10 cm circa, in attesa di collocazione

Capolavoro fragile 2 - AA.VV., Paolo Santangelo, voce
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Tutti vicini,

è più bello,

è più umano.

 

Questo sembra un boccale,

un fiore, una rosa.

Al centro una fontana,

questo un'onda (o una mano "ad artiglio")

questo un fiore

questa una testa

un bambino.

 

Una banana.

Due piscine,

un secchio ribaltato

questo qua... Un pesce,

un cane,

siamo già diventati "artisti"!

 

Tutti insieme: i mostri del Giardino di Bomarzo,

Dracula o Eta Beta.

Una grotta.

 

Un portapenne,

bomboniere,

il segno di un anello (con un occhio o il sole)

il porta anelli  di mia nonna.

 

Un bel fiore,

fiori

un giardino

giardini bellissimi.

 

Acqua,

fontana,

fondale marino.

 

Rumore di acqua che zampilla,

il miao di un gatto

una melodia,

musica classica con l'acqua.

Silenzio.

 

Un mercatino dell'usato, un bric-à-brac,

uno spezzatino.

 

 È niente, è un divertissement.

 

Mi piace, mi piacciono tanto i fiori.

 

La gioia di vedere che

per nessuno

è rimasto uno gnocco di terra da buttare via.

 

È tutto, è l'ingegno dell'uomo a costruire.

Aldo, Angiolina, Annamaria, Antonio, Briki, Cecilia, Cristina, Denise, Enrica, Irene, Luca, Lucia, Mariagrazia, Matteo, Michela, Rita, Silvia, Capolavoro di fragilità collettive, 2018, argilla cruda di provenienza incerta, 50x50x10 cm circa, in attesa di collocazione

Capolavoro fragile 3 - AA.VV., Paolo Santangelo, voce
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Per me è un teschio d'uomo, senz'altro, una testa.

 

Un omino,

un uomo

sembra a riposo, dorme sdraiato...

 

Io ho fatto questo lungo

io vedo l'altro invece

qualcosina l'ho fatto anch'io.

 

Vedo... Armonia.

 

È questo [gesto con pollice alzato]

È un po' di tutto:

molto caos,

facce che guardano in alto, che ridono,

cose che vanno in alto,

cose che vanno in basso;

vuoti, pieni,

lunghe, piccole

 

completezza.

 

Varie sculture sommerse dall'acqua.

Eh sì!

 

Un giardino incantato,

un giardino pieno di cose vecchie, antiche,

come dei monoliti

e qualcosa da contemplare come un fiore.

 

È un giardino fortunato, senza tempo.

 

Un impatto positivo.

Spuntano dal terreno come cose vecchie,

vorrei essere lì in mezzo e camminarci.

 

Eh sì!

 

Alice nel paese delle meraviglie.

Con la fantasia si fanno tante cose,

colpisce sempre che c'è qualcosa.

 

Il materiale,

mi dà dolcezza.

 

È piacevole toccare e dal niente far diventare qualcosa,

che significa qualcosa.

 

Creare, dar forma.

 

Io ci farei una vasca. In un giardino una vasca ci sta bene

e qualcosa per fare ombra.

Ci farei entrare alberi.

 

Questi affari ce l'ho in giardino e non riesco a sterminarli,

rispuntano sempre. Ora ci sono i nipoti, ci penseranno loro.

 

Oh natura, quanto sei bella!

Baraonda.

Fantastica.

Bellissima.

 

Antico. Incanto.

Malleabile.

Essere lì. Non vado più in là.

 

Una cosa tutta mia.

 

Volti, sole, abbondanza, fiori e la vasca

Questa è una primavera!

 

Da qui esce la ferrovia, il treno.

Il treno passa sotto casa mia,

è passato tante volte ed è andato via.

Il rumore del treno

spesso,

alle volte è anche troppo

e dà anche noia.

Passa il treno a casa mia.

 

Io sento un suono diverso, di una viola.

Eh sì!

 

Traffico, acqua...

o dove?

Dalla vasca.

Il mio babbo mi portava a fare il bagno,

mi faceva passare da qui sotto per andare a fare il bagno. Era bello.

Mi ricordo proprio bene.

 

Cicale. Non mancano mai d'agosto

e il ticchettio del tempo che si è fermato.

Fotografie: Luca Carli Ballola, Martino Margheri e Simone Mastrelli

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